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150 | Una giovinezza del secolo XIX |
che non ero sorda e che sapevo il mio francese rimasi grandemente conturbata. Rammentando che alcuni anni prima uno zio mi aveva detto che i miei occhi erano tinti di carbone, non dubitai più di essere una creatura assai disgraziata. Ad onta di questo stato di mortificazione perpetua non posso dire che mi sentissi infelice; di che natura fosse la forza che mi sosteneva lo ignoravo affatto, ma è certo che non conobbi mai quegli accasciamenti, sotto i quali confessano di essersi abbattuti tanti uomini di ingegno e uomini di cuore.
Giovanni Segantini, che ebbe una infanzia tristissima, mi diceva di avere provato questa stessa sensazione. Io non conoscevo il poema di Dante, che nessun professore non mi ha mai spiegato e che ero troppo ignorante per comprendere da me, ma essendomi venuti sott'occhio due versi mi piacquero tanto che li scrissi sopra un mio quaderno e sempre rileggendoli poi mi sentivo invasa da una gran forza e da una sicurezza come se qualcuno mi portasse. I versi sono questi:
"Sta come torre fermo che non crolla
"giammai la cima per soffiar di venti".
E mi compiacevo tutta a notare che Fermo era il nome di mio padre.