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148 Una giovinezza del secolo XIX


il mio panegirico dovrei mostrare la fanciulla intelligente e amorosa, la forte Antigone che sorregge il padre cadente, ma scrivo pagine di assoluta sincerità e per disgrazia non ero nulla di tutto ciò, allora. Poche persone rimasero lungamente acerbe quanto me. Avrei l’aria di mancare a questa dichiarazione di sincerità, se volessi sottrarmi al merito di una certa intelligenza e di una forza nelle battaglie posteriori della mia vita; ma allora, ripeto, ero una povera creatura embrionale. Le sciocchezze, che feci e che dissi nel lunghissimo tempo della mia formazione, sono incredibili. Quel po’ di strada, che mi sono fatta nel mondo, me la sono scavata da me graffiandomi ai rovi e lacerandomi ai sassi. Tutte le mie facoltà, anche quello del sentimento, si temprarono nel dolore. È solo dolorando che ho potuto amare mio padre quando era con me; è ancora con un doloroso rimpianto che penso a lui, che vi ho sempre pensato dal dì che lo perdetti. Una o due volte all’anno andavamo insieme a far visita a qualche signora che era stata amica della mamma. Erano brevi oasi di piacere, anche dalle quali non sapevo trarre tutti i vantaggi che avrei potuto nel libero abbandono di me stessa, poichè il mio spirito non era mai libero dalla ossessione delle zie.