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Una giovinezza del secolo XIX 147


slancio e di ardore, che erano in me, giacevano soffocate al punto di non sapere io stessa decretarmi qual fosse il mio valore. Andavo avanti ad occhi chiusi, barcollante, impacciata, timorosa sempre dell’ironia che mi feriva con veri colpi di pugnale e in tale contrasto l’affetto per mio padre si rattrappiva in una forma di tenerezza che portava l’abito del mio dolore. Povero vecchio, lo vedevo aggirarsi con passo di fantasma in quelle stanze dove era solo, accanto a me, sola. E me ne veniva uno struggimento, una malinconia piena di rimorsi impotenti. Come il riso era straniero alle mie labbra, anche il pianto non era facile in me. Pure una volta che avevo il cuore gonfio di tutti questi sentimenti in lotta, fermando lo sguardo su di lui che più accasciato del solito giaceva sul divano, rigido e pallidissimo, fui presa da tanto affanno che fuggii in camera, dove la zia Margherita, venuta a raggiungermi, mi trovò immersa in una crisi di lagrime. Alle sue domande risposi schiettamente che piangevo pensando al giorno in cui papà sarebbe morto. Uno scricchiolio di mobili mossi nel salotto attiguo e l’ombra di papà fra uscio e uscio mi fecero capire che anch’egli mi aveva seguita.

Lagrime invece di baci?... Ahimè! se scrivessi