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138 | Una giovinezza del secolo XIX |
Un rettangolo di carta lungo sette centimetri che bacio e ribacio con accorata tenerezza è il biglietto da visita di mio padre: Arch. Fermo Zuccari. Egli era anche consigliere e assessore comunale e socio onorario della Accademia di Brera. Nella semplicità di questo biglietto, in cui nemmeno la sua professione era scritta per intero, ritrovo tutta la sua semplice e modesta vita; eppure è con un sentimento di ammirazione che mi fa tremare la mano che mi accingo a parlare di lui, a condurre la sua nobile personalità sulla scena di piccoli avvenimenti e di piccole persone fra le quali sono cresciuta. Nell’articolo di quella mia amica trentina che io venni a conoscere qualche anno dopo che fu stampato, ritrovo con gioia le parole che a proposito di mio padre scrivevo in una lettera privata; esse sono là a testimoniare della sincerità della mia ammirazione. Tuttavia in quegli anni di nebbia per il mio intelletto e di sovrumana tristezza, ricevevo di lui, come ricevevo dalle mie zie, il solo obbiettivo fotografico. Esse mi facevano soffrire, lui no. Dolce, malinconico, distinto in ogni suo gesto, sobrio di parole, io lo veneravo, ma lo sentivo lontano. Sulla mia timidezza agiva anche la sua superiorità. Ne avevo un grande rispetto, alimentato dall’opinione e dal rispetto che