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Una giovinezza del secolo XIX 137


crazia, a volte egoismo. È singolare la deviazione di significato che queste due parole assumono nelle menti incolte. Io non so perchè si debba chiamare egoista la persona che vive delle proprie risorse e non quella che povera d’animo e di intelletto va mendicando con graziette e sorrisi l’alimento che non trova in sè. Questo santo, sacro, divino egoismo è l’economia di forze che il poeta, il pensatore, il veggente tengono in serbo per l’opera loro, ben più proficua agli uomini che non la vana dispersione di sorrisi e di grazie fatta da coloro che hanno la testa vuota e il cuore freddo. Non discuto qui dell’ingegno; molti sono i chiamati che non potranno sedere fra gli eletti; ma è certo che quando una vocazione si presenta imperiosa allo spirito, il dovere è di staccarsi dalla strada maestra nella quale si cammina in drappelli, per inoltrare, sia pure povero e nudo e solo, sul sentiero dove la voce misteriosa chiama. Io non sapevo ancora che cosa avrei fatto e dove volevo andare, ma un contrasto inesplicabile fra me e gli altri si accentuava ogni giorno più profondo; mi sentivo isolata, separata, con una sensazione di imbarazzo e di fuori posto che doveva rendermi abbastanza goffa. Era questo che chiamavano la mia aristocrazia?