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136 Una giovinezza del secolo XIX

bisogna dirlo; diversa nelle qualità, diversa nei difetti. A parte le ragioni di antipatia che poteva avere per me la zia Nina, mancavami affatto quella festevole leggerezza della gioventù che si fa perdonare tutto. Quando penso che io non ridevo mai, che anche nei divertimenti la serietà non mi abbandonava; seria e timida e tutta rivolta dentro di me a cercare la ragione di ogni cosa, devo convenire di essere stata una adolescente, priva delle seduzioni naturali di quell’età. Non ero nè graziosa, nè spiritosa, nè amabile; in una parola non davo ciò che normalmente si poteva pretendere da me. Se la mia estrema sensibilità avesse avuto pascolo di carezze e di buone parole come hanno quasi tutte le fanciulle, anche la grande timidezza che mi paralizzava si sarebbe sciolta; ma tra l’ironia della zia Margherita e l’odio della zia Nina, senza altri parenti vicini, senza sorelle, senza amiche, conducendo una vita rinchiusa, in un ambiente contrario a tutte le mie aspirazioni non ancora sviluppate, ma latenti in tutto il mio essere, che mai potevo fare se non rinchiudermi in me stessa, asilo sempre pronto ad accogliermi? Questa mia solitudine spirituale, questa astrazione da fatti e detti e persone che non mi interessavano venne chiamata a volte aristo-