la vita nella sua interezza, come vivere e morire, gioire e soffrire, amare ed aborrire, sognare e risvegliarsi, per la vita sublime ed umile, ampia e ristretta, per la piccola ed immensa vita di ciascuno di noi che, così com’è, è fonte inesausta di palpiti, di meditazioni, di ricordi, di tenerezze, di amarezze pur dolci, e che l’uomo forte ed armonico accoglie e fa oggetto di culto come la divinità, la vera e sola divinità, sempre presente. È questo il buono e sano, sebbene inconscio e non teorizzato, "misticismo" di Neera, che ella celebrava col bramoso profondarsi in se stessa, col trovarsi sempre benissimo da sola, non essendosi (come dice) mai annoiata in vita sua "se non in compagnia d’altre persone". L’altro tratto era la costante tendenza ad abolire ogni dualismo di materia e spirito, corpo ed anima, senso e ragione; e anche qui non già con l’abbassare lo spirito, l’anima e la ragione a materia, corpo e senso, ma piuttosto con l’elevare questi a quelli, e idealizzarli in quelli, e, in realtà, con la coscienza, che era in lei vigorosa, dell’unità reale. Così piena di sentimenti e di sogni, Neera non fu "sentimentale"; così alta nel discernimento morale, non fu moralista rigida e disumana; così pura nei suoi affetti, non fu asceta. Le sue difese di quel che altri vorrebbe allontanare come sensualità, di ciò che si vorrebbe reprimere come irruenza di passione e di volontà, di ciò che si considera come egoismo dello scienziato e dell’artista, e simili, sono quanto coraggiose altrettanto vere; e in esse, e in quella sua accettazione della vita intera, la scrittrice femminile si dimostra pensatore virile.