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Una giovinezza del secolo XIX 125


per dover stare col dorso contro i cavalli: a una di queste una volta un soldato offerse una presa di tabacco. A tratti regolari la diligenza si fermava per il cambio; usciva allora da una osteria un mozzo mezzo assonnato traendosi dietro i cavalli freschi; due o tre viaggiatori scendevano, gli altri stendevano le gambe con un largo respiro di sollievo cacciando la testa fuori dello sportello. Si scambiavano alcune parole: — Dove siamo arrivati? Manca molto? Che ore sono? — Intanto le bestie staccate dalla diligenza passavano a testa bassa, col dorso che fumava, avviandosi alla stalla. Il cassone nero traballando riprendeva la sua corsa nella notte. Quando finalmente l’alba imbiancava l’orizzonte si sapeva di essere ancora lontani dalla meta, ma uscendo dalle tenebre ci sembrava di rivivere. Borghi e paeselli si disegnavano nitidi nel chiarore del sole nascente, si riconoscevano i luoghi, si salutavano con una tenerezza di vecchi amici. A mezzogiorno apparivano le torri e le cupole di Casalmaggiore; battevano i cuori, battevano i piedi impazienti; il postiglione impettito nella sua divisa a mostre rosse e bottoni dorati schioccava la frusta ornata di peli di tasso e imboccando la cornetta — te re tè, te re tè, teretè — con una svolta più sapiente ancora di quella