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122 Una giovinezza del secolo XIX


bandonato casa, abitudini, relazioni, indipendenza assoluta, per venire a rinchiudersi fra i muri di una città ignota, dove non conoscevano nessuno, dove ogni volto incontrato per via era straniero e solo le cure affannose della famiglia riempivano i giorni altre volte così lieti del dolce passato. Il disastro finanziario del nonno di Caravaggio, che aveva inghiottita la dote di mia madre, contribuì a rendere più difficile il reggimento domestico gravato di tre figliuoli, per cui le generose donne, che se ne erano assunto il carico, dovettero sentirne per le prime il disagio e più cocente il rimpianto della perduta pace.

A consolarle un poco del brusco distacco, mio padre promise loro che saremmo andati tutti gli anni un paio di mesi a Casalmaggiore. Era allora un viaggio di non poca importanza. Si partiva alle dieci di sera colla diligenza Franchetti che stazionava in via Monte Napoleone; ricordo ancora l’impazienza mia e dei miei fratelli nell’attesa dell’ultima ora. Seduti tutti intorno alla sala da pranzo, al lume oscillante di una candela, colle braccia incrociate sul nostro rispettivo bagaglio, il tempo ci sembrava eterno. Il silenzio era un abitudine della nostra famiglia, che solo il mio minore fratellino si permetteva di rompere