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Una giovinezza del secolo XIX 109


Una febbre di quelle che chiamavano perniciose condusse mio nonno al sepolcro in pochi giorni; la seconda moglie era morta anch’essa e morta la figliola che si chiamava Giulia. La famiglia così numerosa non esisteva più, si era sciolta; venduta anche la casa, le due superstiti, Margherita e Nina, si ritirarono in un’altra casa di loro proprietà dove si iniziò quella che fu, per una trentina d’anni, la loro rimpianta vita di pace assoluta e di semplice libertà. A questo punto i miei ricordi tornano ad essere personali. Io la conosco la via fatta ad arco, larga e deserta come quasi tutte le vie di Casalmaggiore, chiazzata quà e là da qualche filo d’erba, coi marciapiedi di mattonelle rosse; vedo il gruppo isolato di abitazioni intorno all’albergo della Croce Verde che forma in certo qual modo la corda dell’arco, vedo le case allineate in giro a semicerchio: la seconda a destra venendo dalla piazza era quella delle mie zie. La zia Nina, che aveva la passione contemplativa dei fiori, era riuscita a trasformare il cortile in un vero giardino; i trecento e più vasi che formavano l’aiuola centrale, curati ad uno ad uno con tenerezze materne, offrivano un aspetto dei più variati; tutte le gradazioni dei garofani, dei gerani, delle verbene e le rose muschiate, e