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106 Una giovinezza del secolo XIX

rendita e tutti gli anni, alla scadenza, avveniva poco su poco giù il seguente dialogo.

— Che cosa volete mamma? — Ricordarvi i vostri obblighi. — Ma voi non avete bisogno di denaro. Che cosa vi manca qui? — Non state a cercare quello che mi manca, datemi quello che mi viene. — Voi mamma (tentavano di volgere la cosa in scherzo) spilli non ne portate più. — Ciò non vi riguarda, fate il vostro dovere. Narrandomi questi particolari la zia Margherita si inteneriva e nello stesso tempo era presa da una specie di orgoglio di famiglia, raddrizzandosi sulle spalle un po’ curve, quasi per mostrare a sè stessa che nell’occasione saprebbe essere egualmente ferma e fiera.

In seguito a morti e divisioni mio nonno Stefano rimase solo coi suoi figli, dei quali Margherita era la maggiore, poi veniva mio padre, Giulia, Nina e credo ultimi i due maschietti morti presto. Mio padre si chiamava Fermo; non so quali studi avesse fatti nè dove, nè a quale età ottenne di poter andare a Roma per seguire i corsi di architettura alla Sapienza. Era ancora giovinetto quando, prendendo parte alle mascherate carnevalesche che allora usavansi molto a Casalmaggiore, non gli riusciva mai di conservare l’incognito in