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Una giovinezza del secolo XIX 93


Con l’altra zia l’approccio era impossibile. Non mi guardava, non mi parlava; sembrava ignorare persino la mia esistenza. In qual modo avrei potuto affrontarla, con quella mia ingenita timidezza, che avrebbe avuto bisogno di un gran fuoco, di un gran fuoco d’amore per fondersi e che si trovava innanzi a una sfinge di granito? Mi facevo piccina piccina, per non urtarla, per diminuirle la noia della mia presenza, ma a nulla serviva. Nella distribuzione delle domestiche faccende, che nei primi giorni si erano assegnate tra loro, era rimasto alla zia Nina come la più esperta del genere l’incarico di pettinarmi; improvvisamente, senza alcuna spiegazione, dichiarò di non volerlo più fare e passai dal tocco morbido delle sue mani alle energiche strigliature della zia Margherita finchè imparai a pettinarmi da me. Poco tempo dopo, altra esclusione. Era lei che, più giovane della sorella, più amante del vestirsi e dell’uscire di casa e del veder gente, mi accompagnava tutte le domeniche alla messa ultima nella chiesa di S. Carlo e consecutiva passeggiata; e anche questo da un giorno all’altro cessò, senza ragione, senza spiegazione, come la prima volta. Sotto l’apparenza di non occuparsi di me, spiava ogni mio gesto, atto o parola per trovare pretesto di un rimprovero. Mi