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ritirato in una villa tra Sesto e Gorla, e vi conduceva un’esistenza perfettamente solitaria.

Tuttavia ne parlò al signor Prospero — e seppe che le relazioni dei due vecchi s’erano alquanto raffreddate.

Passò qualche giorno, ed ognuno di essi le portò nuovi affanni, nuovi disgusti, nuove lagrime, nuove disillusioni.

— Voglio provare! — disse tra sè — se il signor Prospero non m’accompagna, anderò sola. Egli è stato il mio secondo padre, il compagno della mia adolescenza, non può avermi abbandonata.

La villa del tutore era una gran casa quadrata, dipinta in color carne, con un giardino mezzo selvaggio, più ortaglia che giardino, e più campo che ortaglia.

Mi domanderete perché allora l’ho chiamato giardino.

Ma perchè è l’uso. Quel pezzo qualsiasi di terra che circonda una casa di campagna, per poco che vi presenti un cespo di rose brullo e qualche pianticella trascurata di crisantemi volgari, è subito un giardino.

Io ho veduto uno di questi giardini che produceva esclusivamente delle carote; quello del tutore invece era prodigalmente seminato a fagioli.

Giulia lo attraversò senza guardarlo, dopo aver aperto, non senza un po’ di difficoltà, il rozzo cancello di legno che lo difendeva dai monelli e dai quadrupedi erranti.