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— Non c’è male, fece Olimpio.

— Ti piaccio ancora?

— Sei diventata bella e grande: hai una figura di matrona — quasi quasi non ti conoscevo.

— Sono passati cinque anni, Olimpio. Tu eri allora studente ed io una povera villanella... oh! mi ricordo sai? Non ho ancora dimenticato i miei piccoli zoccoli rossi e il mio gonnellino di indiana! Così potessi riprenderli!

— La chiusa del tuo discorso è molto morale, ma io spero che avrai qualcos’altra a dirmi.

— Vuoi venire in gondola? Ciarleremo con maggior libertà.

Svegliarono un gondoliero che sonnecchiava.

— Prendi il largo verso Rialto.

La donna entrò nella gondola chiusa — e vi entrò con quella civetteria, con quella grazia seducente delle veneziane che sanno trasformare in vezzo il più semplice movimento.

Io non vi parlerò del piacere di andare in gondola, nè del piacere doppio di starvi in due, nè di tutti quegli altri accessorii, che vi può portare la notte, la luna, la brezza marina. Rifuggo naturalmente dalle descrizioni, da quelle sopratutto che rasentano il sentimentalismo — e credo che anche i miei due personaggi non si occupassero molto della limpida notte che li circondava.