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Giulia terse nuove lagrime e si allontanò dalla finestra.

Il vecchio orologio di S. Marco suonava le due.

Giulia cadde in ginocchio. Tutte le preghiere della sua infanzia le tornarono a mente, e le recitò tutte con fervore, con passione. Si rivolse all’imagine che stava sopra il letto promettendole un culto particolare se l’avesse tolta da quelle pene. Invocò sua madre ch’ella non aveva conosciuto, ma le madri fanno tanto per i loro figliuoli....

— O mamma mia, vieni a consolarmi!

Ripensò al suo tutore bisbetico, nojoso, egoista; vi ripensò come ad una cara memoria, e le parve ch’ella fosse ben felice in sua compagnia, in una cameretta calda, lieta, colla tazza fumante del caffè e il giuoco degli scacchi.

Rivide, come la sera innanzi, la chiesa parata a festa, i lumi, i fiori, il suo vestito bianco, il suo lungo velo, l’anello — pegno d’eterno amore — che Olimpio le aveva posto in dito ai piedi dell’altare.

Quell’anello lo vedeva ancora — ma lui!...

Poi con danza vertiginosa le passarono per la mente i paesi attraversati nel viaggio, le campagne lombarde, i verdi colli, gli alberi fuggenti e il primo sguardo che diede al mare.

Finalmente non pensò più a nulla — non pianse