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O bei sogni, bei sogni d’amore! larve color di rosa, cieli azzurri, poetici misteri! O ideale!

Pianse a lungo, dapprima sommesso, poi sfogandosi in singhiozzi e pronunciando disperatamente il nome d’Olimpio.

Il suo maggior dolore era di non poter trovare una ragione che giustificasse quell’assenza prolungata. Aveva incontrato un amico, si sentiva male, o forse erasi smarrito o lasciato attirare da qualche spettacolo? No — tutto questo non era ammissibile, non era sopratutto conciliabile colla mezzanotte passata, quasi il tocco. Giulia non poteva, supporre che egli l’avesse dimenticata — la prima notte di matrimonio! — Ma perchè dunque non veniva? Passeggiò inquieta per la camera, riaperse una finestra e stette ascoltando i rari passi che risuonavano sul lastricato della piazza.

La luna era scomparsa; il palazzo dei dogi si staccava come una gran massa nera sull’azzurro del cielo; la laguna nebulosa si confondeva nella oscurità della notte.

— Oh! Venezia, Venezia, rendimi il mio sposo!

Così mormorò la fanciulla protendendo le braccia; ma un alto silenzio regnava sulla piazzetta, sul canale, nei vasti palazzi di granito. La voce lontana d’un gondoliere le portò il primo verso d’una canzone popolare:

«Vieni o bella, vien sul mar...»