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Giulia provò un fremito di voluttà abbandonandosi sui cuscini della gondola.
— Ah! come è bello.
— Che cosa? fece Olimpio reprimendo civilmente uno sbadiglio.
— Tutto. Mi sento così felice!
— Davvero?
E in questo davvero c’erano tre quarti di sorpresa misti a un quarto di compassione.
La sala terrena dell’Hôtel Belle-vue, ove alle sei precise i commensali si radunano a tavola rotonda, è una sala piccola, malinconica e fredda; il pavimento scivola sotto i piedi che non producono alcun rumore nemmeno se calzati di scarpe a doppia suola. C’era allora un cameriere magro, giallo e compassato, che avrebbe fatto scappare la fame a un medico condotto.
Olimpio mangiò pochissimo.
Giulia nulla di nulla.
— Conducimi a fare un giro sulla piazza di S. Marco; si soffoca qui.
Passeggiarono; presero il caffè da Florian; guardarono distrattamente le Procuratie, l’orologio, la colonna della piazzetta, i cavalli di bronzo, il palazzo del Doge.
— Se andassimo un po’ in gondola?...
— Fa troppo umido sulla laguna.