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— E vi sentite la forza d’Ercole?
— La sento.
— Oso dire che nessun uomo è baldanzoso come voi — mi tentate.
Uno sguardo lusinghiero accompagnò l’ultima sillaba; ma Olimpio non si mosse.
— Io credo — continuò la contessa — che la poetica invenzione delle anime gemelle ha un riscontro materiale nell’esistenza di tutti noi. Avete mai amato?
— Mai.
— Ed ora?...
— Vi amo.
— Perchè mi amate?
— Per il vostro corpo e per l’anima vostra — per il lampo che scaturì dalle nostre pupille al loro primo incontro. Ve ne ricordate?
— Il destino lo ha voluto! — mormorò Réa abbandonando la bruna testa sui cuscini di damasco.
Olimpio si curvò, e un lunghissimo bacio congiunse quelle labbra colpevoli.
Che dovrei dire adesso — io — povero romanziere di scene famigliari? Se fossi stato in un angolo di quella camera avrei forse osservato il sole d’aprile che entrava folleggiante dalla finestra — e i pennelli abbandonati di Roberto — e il ritratto della contessa, non ancora finito, che sorrideva tranquillo!