Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 191 — |
carta da lettere elegante, dei fiori appassiti, dei profumi nella biancheria — nulla, nulla affatto. L’ho seguito qualchevolta per istrada e scendo tutte le notti a vedere se dorme, se pronuncia in sogno parole che mi possano mettere sulla via d’una scoperta. A dirle tutto sinceramente, una volta credetti di aver trovato il filo. Era autunno inoltrato. Pompeo partì una mattina per non so dove — gita d’affari — e tornò alla sera molto tardi, così sconvolto ch’io non potei darmene pace. Le nostre camere da letto sono vicine ed io esigo assolutamente ch’egli non chiuda l’uscio della sua — quella notte lo sentivo voltarsi e rivoltarsi per il letto, lagnandosi e sospirando — secondo il mio costume andai a vederlo — dormiva un sonno agitato, rotto da singulti e da parole incomprensibili — le braccia avea fuori dalle coltri e colla destra stringeva il fazzoletto. Io rattenni il fiato per non destarlo, ma curva sul suo volto spiavo ogni movimento dei muscoli; per due volte mormorò distintamente la parola infelice! poi più nulla. A chi si riferiva quell’infelice?
Da lui non ebbi veruna spiegazione; il giorno appresso lavorò come il solito, come il solito taciturno, ed io mi persuasi che la cattiva notte fosse la conseguenza di un pranzo scellerato all’osteria. Eh? Che ne dice?
Giulia non sapeva cosa rispondere.