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della sera. Dalla sua cameretta ella discendeva sovente col suo lavoro o con un libro che poi leggeva ad alta voce — romanzi, in generale, perchè la signora Chiara non gustava altro — ed anche fra i romanzi ci aveva le sue predilezioni. A volerla appagare proprio nel lato debole, conveniva scegliere un romanzo dove entrasse per lo meno un pajo di malfattori che per dugento pagine ne facessero di tutti i colori. Allora la buona donna si adirava, si commoveva; veniva fuori con esclamazioni di sdegno, prorompeva in invettive contro gli scellerati — il suo volto diventava pavonazzo — i ferri concitati della calza lasciavano sfuggire qualche maglia e finalmente, giunta all’ultimo capitolo dove l’uno si impicca e l’altro si lascia strozzare, ella usciva in un sospirone di contentezza e per quel giorno era sicura di fare un’ottima digestione.

Pompeo, l’avvocato, appariva qualchevolta sull’uscio del salottino verde, ma era estremamente timido, non alzava mai gli occhi — e sì che li aveva belli — parlava titubando e sedeva nell’angolo delle poltrone.

Giulia gli aveva confidato tutti i suoi interessi ed egli se ne occupava scrupolosamente, ma arrossiva ogni qualvolta dovevano discorrere insieme e teneva la testa così bassa che Giulia non era mai riuscita a vedere che faccia avesse.

La signora Chiara idolatrava suo fratello.