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e sereno, lasciava che il suo cuore parlasse e ne sgorgavano torrenti di tenerezza.

Cieco, perchè senza cecità non vi è assoluto amore, Roberto entrava, senza accorgersi, in un gineprajo che non aveva uscita.

Già colmo di debiti intascò, senza guardarla, la polizza del tappezziere — ottocento lire — e vendette per cinquanta lire il suo ultimo quadro onde poter completare quelle mille superfluità che sono un bisogno delle donne eleganti.

Si faceva una festa pensando alla soddisfazione della contessa e fu un po’ mortificato quando ella, sedendo sulla sultane, e socchiudendo le palpebre indagatrici si lasciò sfuggire queste parole:

— Velluto rosso.... cattivo genere! — somiglia troppo all’interno d’un omnibus o al salotto di una modista.

Il giorno dopo la sultane fu rimandata al tappezziere e venne in sua vece un vis-à-vis di broccato verde-mare a fiorami di un verde più cupo — magnifico! — ma la noterella crebbe di cento lire.

Roberto non se ne dava pensiero. Immerso nell’estasi dell’amore di null’altro si curava fuorchè del suo idolo — ed era una idolatria da selvaggio — fanatica e superstiziosa.

Ella prendeva gusto alla commedia — dell’attore si