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lia prese il foglio tremando, chè un presentimento le diceva non essere buone novelle. Era indirizzato a suo marito — ma dove farglielo pervenire? Visto che la lettera portava il bollo d’Ufficio, credette bene di aprirla per sapere di che si trattava, e con dolorosa sorpresa lesse i termini di una minaccia di sequestro, se entro quindici giorni non aveva pagato il fitto del podere.
Che fare? Dove rivolgersi? A chi chieder consiglio?
Giulia non aveva più nulla — gli oggetti preziosi tutti venduti. Olimpio le misurava il denaro e non era sufficiente per le spese giornaliere.
La notte che seguì quel giorno infausto, ella non potè chiuder occhio; le parve di vedersi circondata dagli uscieri e per ultima disgrazia il marito in prigione.
Disperata, senza guida, senza pratica d’affari scrisse a Olimpio coll’indirizzo di Roberto; Roberto, meravigliato, le rispose che l’amico non abitava più in casa sua e che, anzi, credeva fossero ambedue a Milano.
Nuovo e impreveduto contrattempo.
Ogni filo si spezzava nelle sue mani; sembrava che il destino si facesse beffe di lei; che un genio malefico le scompigliasse le più semplici combinazioni.
Fra queste angoscie non trovò altra risorsa che scrivere al suo tutore — con che cuore lo fece! — ma non si trattava che di dare un consiglio, l’elemosina d’una parola... e l’ebbe.