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l’avvenire. Piena la mente di rosei disegni, attraversava il largo e squallido corso di porta *** quando vide fermo davanti a un palazzo il coupé azzurro, lucente, foderato di raso, coi cristalli che parevano brillanti, colle ruote piccole ed elastiche, col cavallo nero, col servitore immobile.

Il coupé era vuoto.

Certamente la signora era in visite dentro il palazzo e più certamente ancora ne sarebbe uscita.

Roberto non pensò ad altro. Rincantucciato sotto una porta aspettò — aspettò un’ora, lunga, eterna, co’ suoi quattro quarti simili a quattro secoli — finalmente dall’atrio di marmo uscì radiante la bella incognita — più bella che Roberto non l’avesse mai ideata — elegante, maestosa, altera. Salì nel coupé — per un istante i suoi occhi meravigliosi sfavillarono sul fondo di raso azzurro — poi il cavallo si mosse e il giovane innamorato sentì darsi un tuffo nel sangue come se una mano invisibile gli avesse strappato il cuore.

Al pari d’un insensato seguì a corsa la splendida visione; alcuni amici che lo videro saltare i lastricati lo credettero pazzo o ubbriaco — egli non vide nessuno. Arrivò ansante in una via solitaria — udì un fischio — si schiuse una porta — e il coupé descrivendo maestrevolmente un angolo retto, scomparve sotto le arcate di una vecchia casa signorile.