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fondo succedeva in quel povero cuore; le illusioni strozzate al loro nascere, l’amore sfregiato, il sentimento deriso, la voluttà resa impotente, tutte le fibre della passione e dell’affetto lacerate e divelte, avevano accumulato cenere e ghiaccio dove prima ardeva il fuoco della giovinezza.

Uno scoramento, un disgusto di tutto; sbolliti i santi entusiasmi, morta la fiducia, e con essa la speranza, Giulia languiva in una perpetua tristezza.

La reazione non era nel suo carattere. Dolce e timida creatura fuggiva i moti violenti; preferiva tacere e soffocare anzichè lamentarsi. Ella aveva un tesoro d’amore nel suo cuoricino — non fu compresa, non fu apprezzata, non fu amata — e si ripiegò su sè stessa, in silenzio, umilmente altera.

In quel rapido passaggio dalla spensieratezza giovanile ai dolori e ai disinganni, la bellezza di Giulia aveva subìto uno strano cambiamento. Sottile, piccina, le sue forme erano ancora infantili, erano graziose e sobrie; ma il pallore dominava sul suo volto adolescente, e i suoi grandi occhi ingenui nuotavano inconsapevoli in un’onda di languore.

Nelle interminabili sere di quel triste autunno ravvolta in una sciarpa bianca, come una statua nel suo velo, ella si appoggiava al davanzale della finestra, e muta, immobile, per ore ed ore, contemplava le stelle — confidenti discrete di tutti gli infelici.