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appuntamento, mille circostanze lo tenevano fuori. Alla sera com’è mai possibile andare a letto alle nove? E, d’altra parte, si può forse aspettare la mezzanotte a tu per tu colla propria moglie? Vicini non ce n’era; il medico era a tre miglia lontano; il curato aveva la gotta; conversazione in casa tornava inutile sognarla.
Finito il pranzo (vi immaginate, un pranzo a due dove l’amore è sbandito, e l’amicizia non ha mai potuto entrare?), per Giulia era un supplizio, per Olimpio una noja. Finito, dunque, questo genere di pranzo, Olimpio si dondolava un po’ sulla sedia, guardava fuori, sbadigliava (mettendo la mano sulla bocca, oh sì), poi, come spinto da una forza indomita, balzava in piedi esclamando:
— Ho bisogno di muovermi, di pigliare un po’ d’aria; esco per un’oretta.
L’oretta, invece di sessanta minuti, ne contava generalmente cento ottanta.
I due sposi si erano divisi di camera. Olimpio pretendeva di non poter dormire con un’altra persona, era diventato di sonno leggiero, il minimo rumore lo disturbava.
Dopo questa deliberazione, la solitudine di Giulia fu completa.
Lento lento, quasi insensibile, un rivolgimento pro-