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Cinque! Otto! Tre! Tutti!

I polmoni si allargano, i cervelli si riscaldano, i volti sono rubicondi, e i cuori contenti.

Un po’ di vino corre sul tavolo tarlato. Urrà!! Viva l’allegria.

L’oste della Luna era un ometto rubizzo (avete mai visto un oste allampanato?) con una bocca più larga di quella della sua insegna, e un par di guancie tonde e paffute, ch’era un piacere a guardarle.

— Hai spillato la botte nuova? — disse Olimpio presentandosi sulla soglia, di cui la sua alta statura e il cappello accuminato occupavano tutto il vano.

— Eh! eh! — fece l’oste con un certo suo risolino particolare — a spillare il vin nuovo c’è sempre tempo. Eh! eh! il vino nuovo mette i dolori di pancia.

Avverto i lettori sensibili ch’egli aveva un fusto di magentino collo spunto, e naturalmente finchè il magentino non fosse smaltito l’altro doveva restare acerbo.

Pare che Olimpio fosse al fatto di questa circostanza, perchè rispose:

— Siamo noi femminuccie o vecchi rimbambiti, da preoccuparci di tali inezie? E poi c’è il proverbio: per San Martino è vecchio il vino. Dammi dunque il tuo migliore e serba l’altro per gli avventori della domenica.