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Avverto che amico è un modo di dire; e paese anche.

La sostanza è questa. A un mezzo chilometro circa dall’abitato, sulla via maestra, c’era un’osteria rinomata fra i carrettieri e fra quanti nei dintorni avevano voglia di sedersi a loro agio sotto un pergolato massiccio o negli angoli di un immenso camino a cappa sporgente, con un buon litro di vinello nostrano e con una buona pipa.

Le donne non comprendono e non comprenderanno mai il piacere che prova un uomo, per educato e per cittadino che sia, a sdraiarsi su una dura panca d’osteria, a mettere tra i labbri un lungo tubo di ciliegio, e a sorbirsi placidamente un nettare molto inferiore a quello che voi stessa gli offrite, amabile lettrice, in una bottiglia incapucciata d’argento, e su una poltrona di velluto a molle.

«Perchè non starei a mio agio in una osteria?» diceva sir John Falstaff scuotendo in un accesso di risa sonore «il suo largo torace gonfio di vin di Spagna.»

Ci si trova tanto bene, senza etichetta, senza guanti, senza cravatta, magari; alla buona, là, in confidenza! E poi si gioca, passate le dieci, una partitella di quella adorabile mora, sulla quale, voi, madama, arricciate il vostro naso aristocratico.