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si curvavano umilmente davanti all’altera maestà dei pioppi e projettavano sulla strada ombre tremolanti ed incerte, fra cui guizzavano allegre cavallette dalle lunghe gambe acrobatiche, mosche dorate e coleotteri brillanti di smeraldo.
Sul margine dei ruscelli grandi farfalle azzurre aleggiavano sfiorando l’acqua, e sott’esse udivasi tratto tratto il tonfo di una rana che si buttava a nuoto.
Tra i sassi, tra la corteccia degli alberi, cui l’edera pietosa copriva le nudità vetuste, correvano le magre lucertole inseguendo i moscerini, e sulla punta flessibile dei fili d’erba tremolavano paurose libellule dai grandi occhi estatici.
Nessuna voce umana rompeva quel silenzio; ma le foglie avevano dei susurri eloquenti, l’acqua un mormorio tenero e melodioso come il ritornello d’una canzone d’amore.
Ogni ombra di cespuglio copriva un dolce mistero, e le cicale, dondolandosi abbracciate sui rami, cadendo a due a due nel calice dei fiori, dicevano chiaramente che la vita ferveva rigogliosa in quella solitudine.
Giulia raccolse dei fiorellini di malva, delle ghirlande d’edera, dei sassolini bianchi e tondi, delle ghiandine lucide, una intera collezione di cosuccie graziose, effimere e inservibili.
Olimpio, da parte sua, s’era già fatto un amico in paese.