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Lo scalone era maestoso, ma mezzo distrutto dal tempo e dall’incuria. Sotterra si estendevano per tutta l’area del caseggiato belle e ampie cantine, asciutte, ventilate, e serbavano ancora gli avanzi di certe botti panciute che ripiene di malvasia e di Val Policella dovevano rendere meno gravi a quei frati la penitenza e il ritiro.

Nel bellissimo cortile del convento s’era cavato fuori l’aja — e vi so dire che era un’aja coi fiocchi, pulita, tersa, eguale come uno specchio; era la parte più pulita di tutta la casa e quella che aveva un aspetto più giovane e più lieto.

Giulia visitò tutto e si dichiarò contenta.

Gli appartamenti, a dir vero, lasciavano molto a desiderare, ma Giulia si persuase che ammobigliati farebbero un altro effetto.

Olimpio, dal canto suo, promise che avrebbe avuto cura delle riparazioni e delle migliorie possibili.

L’avvenire, se non ridente, presentavasi tollerabile e Giulia oramai si era rassegnata a non desiderare di più. Purché Olimpio l’amasse!