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le sue ragioni — ma al signor Prospero non le disse e anch’io non ho potuto saperle.
L’estate fu molto caldo — a Milano si soffocava — ma com’è facile comprendere, nè Olimpio andò a Baden, nè Giulia a Levico.
Olimpio incominciò ad assentarsi tratto tratto per visitare il suo futuro podere. Una volta condusse anche Giulia.
Circa duemila pertiche di terreno, coltivato la maggior parte a riso e a grano turco, con immense praterie a sistema irrigatorio, formavano tutto l’insieme del podere.
Il paesaggio, ricco di acque e di alberi verdeggianti, non era brutto a vedersi, ma malinconico.
L’aria poi greve, umida e poco sana.
In quella parte del basso milanese (non ho intenzione di precisarvi il luogo, nè a voi, credo, importerà saperlo) le risaje occupano la più gran parte della campagna; queste pianticelle venute a noi dall’Asia orientale e coltivate poi così diffusamente, si alzano a pochi palmi da terra, sono smunte di colore e d’aspetto meschino; poco piacevoli all’occhio formano una vegetazione monotona.
Ma i molti ruscelli che, biforcati in tutti i sensi, portavano alimento a quelle risaje correndo tra due sponde di prati lussureggianti, consolavano la vista; e