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Sulle rive della Sonna. 79

mai taciturna e passava accanto a quella grande consolazione che si chiama amor del prossimo senza curarla.

Credeva che la solitudine sola le potesse far bene, la cara solitudine che la lasciava a tu per tu co’ suoi pensieri. Fantasticando, poetizzando, si era portata una volta più in su verso la Sonna, sempre nel silenzio di quella valle romita che nemmeno gli uccelli attraversano coi loro gorgheggi e che il mormorio dell’acqua appena anima di cadenze regolari e gravi.

Il passo leggero di Editta non smoveva i ciottoli del sentiero; le foglie immobili sul suo capo lasciavano piovere puri e vermigli gli ultimi raggi del sole; il giorno moriva.

Editta si accorse in tempo di essersi dilungata oltre il consueto e ritornando sulla via fatta, cercò un ponticello di legno, una semplice tavola che il mugnaio gettava al mattino e che — la fanciulla ne concepì subito il sospetto perchè la tavola non c’era più — ritirava al cader del sole come un castellano geloso.

Era uno spiacevole contrattempo; però si poteva entrare al mulino. Editta incominciò internamente un piccolo atto di contrizione e promise a sè stessa di fare ammenda onorevole