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46 | Parte prima. |
vegliava, e grazie alle sue cure, la fanciulla risanò.
— Voleva ben dire... smorfie! smorfie! — borbottava la Rosa.
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Il vecchio, contro ogni abitudine, aveva tentato di fare un discorso.
Davvero. Appena Editta uscì dal letto, egli l’apostrofò nei seguenti termini senza preamboli:
— Il consiglio ch’io posso darti è di star sana, m’intendo io! Qui tutti siamo sani; mia moglie è pazza, ma è sana, e m’intendo io! Del resto tutte le donne sono eguali: donne, cavalli e orologi...
E finì lì. Editta non faceva più conto di essere al mondo. Immersa nelle dolci memorie del passato, col rimpianto dei cari esseri che aveva perduti, trascorreva le ore e i giorni muta, come trasognata. Il suo corpo era a Milano, pur troppo nella immonda casa di porta Garibaldi; ma tutto quanto vi era in lei di immateriale volava ancora nella cameretta di Bruxelles, in mezzo alle viole, ai canarini, ai lieti raggi del sole, alle canzoni e ai sorrisi.