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Confidenze. | 177 |
nero le critiche, quando il lavorio nascosto e geloso del mio cervello fu dissecato come un cadavere d’ospedale a beneficio del pubblico dal primo praticante capitato; quando si vollero violare i segreti del mio ingegno frugando colle mani sanguinolenti dentro le mie viscere ancora calde e un uomo qualunque, senza conoscermi, senza comprendermi, per ozio, per vaghezza, per lucro, per invidia, per calcolo, mai per amore! venne a stamparmi sulla fronte il suo verdetto impudente, un’onta inenarrabile mi scosse come di uomo che si trova venduto, morsi rabbiosamente, piangendo, quella mano che aveva segnato la sua propria condanna. Non scrissi più nulla. La poesia non era morta in me, vi si era rinchiusa come la vestale antica a custodia del fuoco sacro. Si disse che la mia vena poetica era disseccata, che non avevo più fantasia, che la scioperataggine mi rovinava, che i facili trionfi m’avevano guasto il cervello e altre cose ancora; poi mi si dimenticò così bene che nessuno oggi si ricorda di Leonardo Guerra.
— Dimmi il vero — interruppe Editta pensierosa — da allora fino a questo momento non ti côlse mai un dubbio, uno sconforto, un rimpianto? Sotto le ceneri del suo unico volume