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Il letto le parve duro, troppo pesanti le coperte. Era stanca, ma non le riusciva di chiudere occhio; se appena le si appesantivano le palpebre, scattava, sembrandole di udire mormorare lì sul guanciale: «una persona tanto Simpatica». E poi le venivano in mente i ritornelli dell’organetto e si stringeva al materasso, col braccio sinistro arrotondato in alto, il braccio destro teso, nell’illusione di ballare ancora. All’alba si addormentò.

Il primo pensiero, svegliandosi, fu per lui; ma invece di essere un pensiero gaio e sorridente, le si affacciò quasi come un dolore, come una spina acutissima passata nella pelle.

Inoltrando il giorno, la sua malinconia cresceva. Non aveva mai provato una simile tristezza. Si sentiva cambiata, come se un gran numero d’anni le si fosse aggravato sopra; aveva pensieri misti di morte, di malattie, uno sconforto, un vuoto.

Si toccava l’abito qui, lì, dove lo aveva toccato lui; e le veniva una gran voglia di piangere.

All’ora del pranzo aveva il cuore così oppresso, che non potè quasi ingoiare cibo.

— Va a coricarti, poverina, sei stanca.

Teresina non se lo fece dire due volte; penava troppo a doversi frenare davanti gli zii; sentiva il bisogno della solitudine, per trovarsi libera col nuovo ospite che albergava in lei, per poter chiudere gli occhi, e pensare al signor Cecchino.