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tine, ed era comodo per l’ora: Cecchino significava le sette e mezzo in punto.
La zia Rosa che conosceva la famiglia del mastro di Posta non disse di no, una sera quando vennero a chiederle Teresina per fare quattro salti, al suono dell’organetto: e Teresina, che non aveva mai ballato in vita sua, si sentì dare un tuffo nel sangue. Certamente era felice, ma avrebbe voluto togliersi a tutti gli sguardi, sì poca sicurezza aveva in sè e tanto timore di comparire goffa e screanzata.
All’entrare in sala, con tutte quelle sedie allineate lungo le pareti, il pavimento spruzzato di acqua fresca e quattro candele conficcate davanti a quattro specchietti, ella provò un momento di vertigine. Non vide nessuno, non guardò niente; a passi da sonnambula raggiunse l’angolo più bujo; c’era una seggiolina umile, dimenticata nel vano della finestra, dove aveva servito per appendere una coperta bianca a guisa di cortinaggio.
Teresina sedette là e vi rimase come inchiodata.
Vedeva, confusamente, due o tre coppie che giravano; le parve che la zia Rosa, dall’altro lato della sala, la invitasse col gesto ad uscire da quel cantuccio, a muoversi anche lei come le altre. Ma c’era una nebbia davanti alle sue pupille, non percepiva nettamente i contorni; e la nebbia crebbe,