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— Noi facciamo il nostro dovere, Toni, e il resto alla provvidenza.

Toni non rispose; si rimise al lavoro, insieme agli altri barcaiuoli e operai; tutti intenti a trasportare fascine, sacchi di terra, cocci, mattoni, ciottoli per far argine al fiume.

— Santo Iddio! — esclamò il sindaco, con un accento metà di bestemmia e metà di preghiera, guardando il fiume che ingrossava sempre.

La notte era nera, con un cielo minaccioso, gravido di pioggia. Era piovuto tutto il giorno — pioveva da trentaquattro giorni.

La pietra sulla quale erano segnati i gradi d’altezza delle precedenti inondazioni, era già tutta coperta. Il fiume saliva con una lentezza implacabile, colla calma feroce di un mostro che è sicuro della sua preda. Aveva invaso l’argine basso; ora toccava l’orlo dell’argine superiore, spumeggiando, con un brontolìo sordo.

Il gran pericolo era che l’acqua minasse l’argine al di sotto.

Da quarantotto ore si lavorava senza posa, atterrando alberi e vecchie case, le più vicine al fiume, quelle in maggior pericolo; gli abitanti di tali casupole, quasi tutti poveri, fuggivano trasportando le masserizie — e non erano ancora fuori che già il piccone dei muratori risuonava sui muri, facendo rimbalzare i calcinacci, alla luce scialba delle torce a vento portate dai ragazzi.