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Sulle prime il signor Caccia aveva detto di no, crollando il capo, inarcando le sopracciglia, così che Teresina, sbigottita, non ardiva nemmeno fiatare. Ed era stata la signora Soave, con un coraggio insolito, quantunque avesse come sempre le lagrime agli occhi, era stata lei a supplicare il marito, a persuaderlo che quel po’ di innocente distrazione avrebbe fatto bene alla ragazza.

— Mamma, e tu come farai?

Questo sì, Teresina lo aveva detto, perchè sentiva il dovere di dirlo.

— Non ci pensare, Teresa; si tratta di pochi giorni.

— E se la bimba non è buona?

— Sarà buona, va.

— E se le gemelle non si lasciano pettinare?

— Si lasceranno, datti pace; e godi in pace la tua vacanza; finchè puoi!...

Queste ultime parole la signora Soave le pronunciò così tristemente, come sapesse che i giorni del godere sono contati, che sua figlia le saltò al collo, baciandola.

La zia Rosa, nella placidezza serena di una vita di pianta, conservava un po’ della bellezza statuaria che l’aveva gettata a diciotto anni nelle braccia di un uomo — senza che nè l’uno nè l’altra si amassero, perchè lui aveva bisogno di trovar moglie per accudire al negozio; e lei era una ragazza da marito.