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vento i scialli d’inverno, le sottane tricoté e le vite di flanella.
La casina di don Giovanni Boccabadati stava più chiusa che mai. Egli era partito, un mattino, vestito elegantemente, con una valigetta di pelle di Russia a lucchetto e borchie niellate. Il vecchio servitore, muto come una sfinge, lo aveva accompagnato sulla soglia; poi la porta si era rinserrata ermeticamente, come se il vecchio avesse dovuto seppellirvisi.
— Don Giovanni è a denari, — disse in quell’occasione la moglie del pretore — prende il volo come le rondini...
Teresina pensò un pezzo a questa frase della «pretora.» Le sembrò che dovesse essere una bella cosa il volare, volare, volare, come don Giovanni, in un bel mattino d’aprile, con una valigetta in mano, via per il mondo, incontro all’ignoto; per campagne verdi e fiorite, per laghi azzurri, per monti fantastici, per città incantate; o volare come le rondinelle del suo giardino, ai dolci nidi piccini, così piccini che appena in due vi si poteva stare.
Teresina li guardava con tenerezza quei nidi, appiccicati alle travi del portico, lieti di giovani amori, festanti per le nuove covate. Uno solo restava abbandonato nella tristezza della vedovanza, nella irreparabile tristezza dei giorni che non sono più.