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Le sere del ballo, Teresina spiava accanto alla finestra l’uscita del carrozzone, e figgendo lo sguardo negli sportelli, vedeva oggi un biancheggiamento di veli, domani un riflesso di raso azzurrino; ora il luccichio di una gemma, ora un guanto di pelle rosea morbidamente provocatore — e la carrozza passava, pesante, rumorosa al trotto di due buoni cavalli romagnoli, lasciando negli occhi di Teresina il barbaglio luminoso di una visione.

— Che sfoggio, eh?

Disse una sera la moglie del pretore, che era una linguetta (veniva ogni sei o sette giorni, colla pezzuola in testa, da buona vicina, le sere che i suoi marmocchi si addormentavano presto): e soggiunse:

— Vogliono proprio maritarli i loro tre scorpioncini.

— È della seconda che si parlava, credo: obbiettò la signora Soave.

— Per il sotto-prefetto? Ma essi tentano di gabellargli la prima. La mia opinione è che non ne prende nessuna. Andare a fidarsi di questi meridionali! Io ci sono stata quattro anni laggiù e li conosco.

— Hanno una bella dote.

— Almeno si dice; noi però, cara signora, non ci siamo maritate per la nostra dote, nevvero?

La signora Soave incrociò il suo sciallino sul