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ciava questo modesto arredamento borghese, era un gran quadro appeso alla parete maggiore; quadro massiccio, dello spessore di un palmo, entro cui si nascondevano i segreti di una meccanica ingenua, destinata a mettere in moto contemporaneamente le braccia di un mulino a vento, l’asinello del mugnaio e l’orologio incastonato nel campanile. Orologio e asinello erano fermi da gran tempo, ma il mulino continuava ad agitare, come un fantasma irrequieto, le sue scarne braccia in mezzo agli alberi di cartone dipinto, che formavano lo sfondo del paesaggio.

Come decoro volante, calze incominciate, gomitoli, fascie distese, giocattoli usati, quaderni, panierini.

La signora Soave allattava la piccina, stando seduta sul divano, con uno sgabello sotto ai piedi; pallida sempre, disfatta dalla sua recente maternità. Teresina andava e veniva colla pappa, colle vesticciuole, portando ordini e contro ordini alla serva in cucina. Quando poteva riposare un momento, si metteva sulla seggioletta in alto del gradino, e lavorava ancora.

La madre la guardava, intenerita, struggendosi dietro quella sua figliuola così buona. Chi sa se sarebbe fortunata! — almeno fortunata piú di lei…

Quando era assalita da questi pensieri, la signora Soave chinava gli occhi sul seno magro, da cui