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tando dolorosamente Virgilio e Cicerone, egli figgeva gli occhi su quei libri allineati, immobili, sempre gli stessi: La Divina commedia, Orlando furioso, La Gerusalemme liberata — tutti legati in pelle rossa — un dizionario delle favole in carta pecora, altri due o tre dizionari — Nicolò de Lapi, il Cimitero della Maddalena, Le notti di Joung, Botta Storia d’Italia, uno scaffale intero, quest’ultimo, diciotto volumetti color cece, non legati.
C’erano ancora, negli angoli, delle strenne, degli almanacchi, due o tre volumi scompagnati di Walter-Scott, i Rimedi sicuri contro ogni specie di insetti; ma Carlino non vedeva che quei primi, augusti, seri, che contenevano, a detta di suo padre, una quantità grande dello scibile umano; e gli incombevano, nelle ore penose de’ suoi compiti, quasi una minaccia continua, l’obbligo di diventare anche lui un grand’uomo, di scrivere diciotto volumi, come il Botta, o una raccolta così straordinaria di versi tutti fitti come nell’Orlando.
Il signor Caccia, pieno di sussiego, inarcando i sopraccigli, stava a guardare il suo unico maschio, il rampollo che doveva trasmettere alle future generazioni l’ingegno dei Caccia, rimasto fino allora sconosciuto. Egli era persuasissimo che, obbligando Carlino a studiare, Carlino avrebbe studiato; che, obbligandolo a capire, avrebbe capito; che, obbli-