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casa Portalupi — la vecchia Tisbe, dalla finestra in alto, ritirò subito le sue coperte — e le signorine Portalupi apparvero, l’una dopo l’altra, in mezzo alle tende di pizzo, sfoggiando tutte e tre una cuffietta rosa. Si assomigliavano in modo strano, brutte tutte e tre senza rivalità. Accennarono lievemente col capo a Teresina, tenendo la bocca stretta, le spalle alte, le braccia serrate alla vita, l’occhio socchiuso, in una posa nobile e dignitosa. Stettero un momento appoggiate al davanzale — o più precisamente a un guancialetto lungo, imbottito, ricamato dalle loro preziose mani — e poi si ritirarono l’una dopo l’altra, com’eran venute.
Dalla porta del pretore irruppero quattro bambini, seguiti dalla mamma, la quale, povera signora spettinata e in ciabatte, si affannava a rabbonire il più piccolo, che non voleva andare a scuola, e piangeva come un rubinetto aperto.
La vista dei bambini fece fare un salto a Teresina. E le sue sorelline? Ella le aveva dimenticate.
Corse subito al letto delle gemelle, e le trovò che si mettevano le calze, alla rovescia, litigando per le pere di Caramella, perchè ognuna pretendeva la più grossa.
Le aiutò a vestirsi in fretta, le lavò, le pettinò, fece recitar loro le orazioni, preparò le pere nel panierino, ponendovi accanto due grossi pezzi di pane.