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spettose alla casina dirimpetto, dove le gelosie verdi restavano assolutamente chiuse, nell’isolamento tiepido e dolce di misteri ignoti ai profani.
Passò il dottor Tavecchia, un po’ curvo per gli anni, colla palandrana di panno scuro e il bavero di velluto; passò a capo basso, pensando a’ suoi ammalati.
Passò la cuoca di Monsignore, una grossona, ruvida, burbera, che pareva lei la padrona di tutto il paese, e pretendeva dai bottegai la roba migliore perché, diceva: era per Monsignore.
Passò Luzzi, il segretario di Prefettura, snello, arzillo, con un soprabito di mezza stagione di un bel colorino chiaro, attillato alle reni; guardò in su a tutte le finestre, voltando un po’ la testa per osservare Teresina.
Passò la moglie del sindaco, tutta imbacuccata in un velo nero tenendo fra le mani un grosso manuale color pulce, spellacchiato negli angoli; andava a messa a San Francesco.
Si spalancarono con gran fracasso le finestre di