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le corolle, strisciando sui gambi, toccando terra con un piccolo rumore secco, che turbava i moscherini nel loro primo sonno, e faceva fuggire, spaurite, le lucciole di fiore in fiore.
Quando il giovane tornò a parlare, la sua voce era cambiata, disse: — Buona sera — in fretta, afferrando un pensiero che gli era venuto nella dolcezza tentante di quella notte. Salutò, senza nemmeno guardare e sparve nelle ombre del portico.
Teresa si scosse, strinse i denti, chiuse gli occhi e sospirando e sollevando le braccia al di sopra del capo, le stirò, con un abbandono al quale risposero tutte le sue fibre, gemendo.
Nel salotto terreno, nell'umido e buio gineceo, il signor Caccia terminava i suoi giorni, confinato sul divanuccio dove la signora Soave aveva trascorsa tanta parte della vita, lagnandosi dolcemente cogli occhi volti al cielo.
Egli finiva, battuto, vinto nelle sue forze maggiori; ridotto così gramo da dover implorare l’altrui compassione, spoglio d'ogni potere, in balia dell'unica figlia che gli era rimasta accanto.
E quella figlia non era la prediletta; l’aveva anzi disconosciuta spesso, rendendola vittima del suo assolutismo.
Si trovavano di fronte, soli, con tutto un passato che li divideva, coll’amarezza indistruttibile dei dolori sofferti. Tacevano, ma nel silenzio della figlia