Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Teresina coltivava da poco tempo questo fiore singolarissimo, ma vi portava speciale interesse; meravigliandosi e quasi compiacendosi di vederlo così brutto e così profumato, tanto modesto che non si apriva mai prima del tramonto del sole.
Veniva dalla casa, con un innaffiatoio in mano, stanca anch’essa ed esausta al pari dei suoi fiori, sentendosi pesare addosso il calore insopportabile di quella giornata di luglio. Si fermò un momento dando un’occhiata attorno, già spaurita per la fatica che l'aspettava di bagnare tutti quegli arbusti.
Prese lentamente il basso delle maniche e le rialzò; prima la sinistra, poi la destra, scoprendo il principio del braccio scarno, senza guardarlo, con una rassegnazione dolorosa.
Aveva un abito giallino, povero, che le stava male. Lo sapeva; ma non se ne curava. Odiava le vesti, la moda.
Le poche volte che si guardava nello specchio ne riceveva un’impressione sgradita e questa la irritava contro tutti gli ornamenti diventati inutili.
Tuttavia non era ancora brutta. A quel volto simpatico che i patimenti avevano dimagrito ma non deformato, mancava solo un raggio di felicità. Come tutti i tramonti avrebbe avuto bisogno, per splendere, di un cielo senza nubi.
La passione per i fiori le era venuta quell’anno, e Teresa l’aveva accolta a guisa di distrazione nel grande isolamento che la circondava.