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Quando l’immagine di lui venne a mischiarsi alle rimembranze lascive, ella provò la maggior vergogna della sua vita. Le parve di veder trascinare nel fango tutto quanto aveva di sacro al mondo. Era la profanazione dell’affetto piú gentile, era l’altare che si frangeva, l’idolo che diventava creta. Arrossì, sola, di se stessa.
E la prese una tristezza, un dolore come avesse perduto per sempre una persona adorata.
Per tutto quel giorno non poté incontrare alcuno a viso alzato; aveva orrore dei suoi simili.
Alla sera, chiudendosi nella sua camera, si illuse di potersi disfare dall’incubo; ma l’incubo divenne piú violento.
Mentre si spogliava, era assalita da curiosità brutali. Sembrava che le pagine infami si fossero incollate alla sua pelle, che le formassero, come la camicia di Nesso, un involucro di fuoco, entro il quale si dibatteva.
Cadde in ginocchio disperata, recitando macchinalmente tutte le orazioni che sapeva, unendo il nome di Egidio al nome della Madonna, con un bisogno ardente di dimenticare.
Accovacciandosi sotto le coltri, spossata, evocò le pure visioni del suo amore: l’incontro nella cappella, i ritrovi in chiesa, il primo appuntamento alla finestra, sotto l’acqua che veniva a rovesci, che nessuno di loro sentiva, e quei baci di cielo in cui ella credeva di dare l’anima.