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tremito convulso. Contava i rosoni del soffitto, immaginando che fossero pari; se riuscivano dispari, era una stizza, una contrarietà assurda, ma invincibile. Fissava una persona a tergo, ostinandosi finché quella si fosse voltata; se non si voltava, le pareva di ricevere un urto nel petto e digrignava i denti.
Soffriva per il sole, per il vento, per i tempi piovosi. Aveva sempre fredde le braccia, in alto, all’attaccatura, e portava, sotto il vestito, due maniche di lana tenute insieme col mezzo di un nastro che le attraversava il dorso.
Le gemelle, che s’erano tagliate qualche camicia senza maniche, avevano detto ridendo: — Queste starebbero bene a Teresina!
Mancando la cura delle sorelline, che l’aveva tanto occupata negli anni addietro, trovava le giornate vuote. Non poteva aiutare nemmeno l’Ida, perché ella non aveva mai avuto grande ingegno e la fanciulla, svegliatissima, era già avanti negli studi, vagheggiando prossima la patente di maestra.
Suo fratello era tanto lontano, che non le offriva nessuna risorsa. Solamente si parlava di lui come di un appoggio futuro per la famiglia. Quando le gemelle fossero maritate, s’avrebbe potuto raggiungerlo e formare una casa sola; oppure fare istanza perché trasferissero Carlino nella cittaduzza nativa.
In attesa di questi cambiamenti, nel trambusto delle nozze, coll’orrore del mondo e della società, Teresina