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frementi, si intrecciavano a festoni, a ghirlande sovra le coppie che passavano dolcemente attirate dall’ebbrezza della musica, dai vapori olezzanti, dal barbaglio di mille e mille lumi; e quando, dopo cena, l’ardore del ballo si calmò per qualche istante, dietro ogni cespuglio, nel vano d’ogni finestra, sotto i rami fioriti delle azalee, le coppie trovarono dolci e voluttuosi riposi, che l’orchestra blandiva coi notturni piú delicati di Chopin, colla inebbriante serenata di Gounod”.
La povera martire chiudendo gli occhi, sognava, sognava con una lucidità spaventosa, tutti quegli splendori, quel lusso, quelle morbidezze della vita. E lui godeva tutto ciò!
Oh! quelle donne che lo vedevano sorridere, che gli stringevano la mano, quelle donne che egli teneva serrate col braccio, che gli tributavano i profumi della loro bellezza, quelle donne vicine a lui come erano felici!
Ma perché egli andava ai balli? Poteva divertirsi? Poteva sorridere ad altre, stringere altre?... Ella non lo avrebbe potuto.
Durante le sette, otto ore che egli aveva trascorse in quelle sale incantate, fra gli strascichi di raso e lo scintillio delle gemme era mai possibile che avesse pensato a lei? La dimenticava dunque per sette, otto ore; mentre ella non lo aveva mai dimenticato un’ora sola!
Milano era diventata la meta tormentosa dei suoi