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aveva dei baci sulle cime delle labbra, ed ogni parola che ne usciva, volava a lei come una carezza, calda, fluente, tiepida per ardori repressi. Pareva che la sua testa, le sue mani, i suoi ginocchi fossero muniti dell’ago calamitato; si volgevano sempre a quel punto, trattenuti solo dal rispetto.
Per tacito accordo, intorno alle sedie dei due fidanzati, si formava il vuoto. La signora Soave non si moveva dal divano, circondata dalle altre tre figlie, tutte curve sul lavoro, affrettate, attente, rispondendo brevi parole ai dolci lamenti della madre.
Dall’angolo dei fidanzati, in una lieve penombra, veniva il mormorio sommesso delle paroline, dei sospiri interrotti: sfumava in un irradiamento giulivo, egoisticamente trattenuto nel cerchio della penombra; finché all'arrivo del signor Caccia la conversazione si faceva generale.
Alle dieci, regola invariabile, si spegneva la lucerna.
I fidanzati si salutavano con una lunga stretta di mano, guardandosi negli occhi, e Teresina, chiudendo l'uscio della sua camera, pensava tristemente al tempo in cui, dopo una serata di noia, Egidio l'aspettava alla finestra.
Il signor Caccia era fermamente persuaso che sua figlia non avesse piú alcuna relazione con Orlandi; la continuata assenza di costui gliene confermava la sicurezza, ed ella avrebbe preferito scomparire nella