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sia stato un bel giovane. Ha la faccia di un canonico.
— Chi è quello là coi baffetti corti, piú corti assai del suo naso?
— Vicino a Luminelli?
— Sì.
— Dev’essere un suo fratello.
— Come fai a saperlo?
— L’ho sentito dire; e poi gli somiglia.
Teresina udiva il cicaleccio delle gemelle, ma non vi prendeva parte, non ascoltava niente, non guardava nessuno. Si abbandonava senza resistenza alla malinconia, trovando che era ancora il meglio che potesse fare.
Guardando giù in platea, astrattamente, vedeva Luminelli, di cui avrebbe potuto essere la moglie, e che non si era mai accasato. S’ella lo avesse preso, quando la pretora glie ne aveva fatto la proposta, anderebbe ora a braccetto con lui, pranzerebbero insieme, dormirebbero insieme; gli farebbe molti baci e lo abbraccerebbe stretto. L’idea di abbracciare Luminelli le diede uno stringimento di gola; si voltò verso il fondo del palco, colla testa appoggiata alla tappezzeria. I baci di Orlandi le tornavano cocenti alle labbra...
Le maschere incominciavano ad affollare, serie, compassate, svelandosi sotto l’abito raffazzonato. Le gemelle si divertivano a indovinare.
— Quello là è il farmacista.
— Credi?
— Senza dubbio. Non vedi come muove i fianchi e tiene i gomiti aperti?
— Allora quel domino celeste che pare la sua ombra è la Gigia?
— Naturale.
— Quando si va in maschera si dovrebbe nascondersi meglio.
— È difficile. Qui ci conosciamo tutti.
Chi nessuno conosceva erano quattro giovinotti, nascosti sotto l’elegante costume dei gentiluomini veneziani, i quali avevano invaso il palco scenico con un brio indiavolato. Forastieri senza alcun dubbio; ma chi erano?
Le gemelle scesero a ballare; Luminelli minore si mostrava molto assiduo presso una di esse.
— Che cosa fa quel giovane?
Così domandò il signor Caccia sospettoso, perché dopo l'affare di Teresina non aveva occhi che per scoprire